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Si è detto che il Piranesi fu un architetto mancato, che - a suo dire, serio o faceto che fosse - aveva tante idee in capo che se il Signore gli avesse ordinato il piano di un nuovo universo, avrebbe avuto la temerarietà d'intraprenderlo. Ma di commissioni d'architetto non ne ebbe che due. Il fervore di costruzioni che s'era avuto in Italia nell'epoca aurea delle signorie era venuto meno: dei sovrani solo il Papa poteva ancora permettersi il lusso del mecenatismo. Gli architetti italiani costruivano le moli dei loro sogni all'estero, in Polonia, in Russia. Perciò l'architetto Piranesi ripiegò sulla professione d'anatomista di architetture. Studiò le rovine, creò tavole anatomiche di rovine. Come l'ultimo dei Rougon-Macquart di Zola fu un medico che passò in rassegna la storia della sua famiglia, Piranesi, nell'autunno della civiltà italiana, ne fece l'inventario. Costruì Roma come una città di rovine. In un'epoca in cui i parchi si popolavano di finte rovine e di fabbriche capricciose, le cosiddette Follies, eresse la più monumentale delle rovine, Roma, la più bizzarra delle follies, le carceri. In lui l'Italia rivisse il suo passato non più come azione, ma come sogno. Così Piranesi fu uno dei pochi geni tragici d'Italia, avendo a soli compagni Dante e Michelangelo.
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da "Piranesi Vedute di Roma" Introduzione di Mario Praz
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