Tamara de Lempicka

 

Tamara De Lempicka

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Alcuni quadri del 1923, la Donna in abito nero, il perduto Ritratto di Tadeusz Lempicki, Le due amiche originariamente intitolato Prospettiva, presentano già le caratteristiche compositive e cromatiche che saranno proprie dell'arte di Tamara. Il suo è un vocabolario già ricco e scelto, è uno stile per niente occasionale ma profondamente studiato.
L'intera figurazione ubbidisce a una sola istanza: la costruzione di un'immagine che si impone per prepotenza visiva, che diventa icastica. La figura umana viene deformata, e gli elementi anatomici sono forzati a rientrare in linee conduttrici curve che disegnano archi e cerchi; le proporzioni sono stravolte in nome di una prorompenza del soggetto che impone una costruzione scultorea; la lezione cubista si riduce a una declinazione limitata, che tiene conto della necessità di ridurre a corpi solidi gli elementi anatomici: il seno, l'addome, le mani. La gamma cromatica è estremamente ridotta: pochi colori su una stessa tela, due o tre al massimo, e il grigio interviene costantemente a donare raffinatezza e a smorzare i rapporti più arditi; le ombre sono decise, dividono quasi a metà i volti e disegnano maschere in cui le orbite degli occhi campeggiano immense, segnate da archi sopraccigliari netti, appesantiti da trucchi scuri, da grigi declinati in ogni sfumatura, che ricordano l'uso di Marlene Dietrich di stendere sulle palpebre la cenere delle sigarette stemperata nel caffè.
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da "Lempicka" di Gioia Mori

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